sabato 29 ottobre 2011

Il contesto. Una trascrizione (2)

Un altro incarico, senza che lo volesse, gli era però piombato addosso: mettersi al piú presto in contatto con quel Futro, l’operaio che aveva trascinato Varna in tribunale, perché stava per scattare l’ora del suo appuntamento con la morte. Ma quando Valdo era appena giunto, trafelato, nel palazzo dove dimorava il SIS, e chiese di poter conferire immediatamente con il suo diretto superiore – ch’era anche il capo della suddetta struttura informativa – il commentatore del radiogiornale stava annunciando, dall’apparecchio acceso sul tavolo di un agente di fronte all’ufficio del funzionario, che proprio a Svaro era stato rinvenuto, in un fosso della periferia settentrionale, il corpo senza vita di un certo Futro, crivellato da colpi esplosi da un'arma da fuoco a ripetizione (quindi non con la Beretta sette e sessantacinque utilizzata per gli altri delitti).
E dunque, pensò Valdo, quel furbacchione di Varna aveva proprio al momento giusto cambiato modo di uccidere: se avesse liquidato Futro con la stessa tecnica degli altri, la polizia sarebbe stata messa nelle condizioni di risalire facilmente fino a lui; quel diversivo, invece, gettava un’opportuna cortina di fumo sul suo piano criminoso, che forse era giunto, con l’assassinio di colui che l’aveva trascinato al cospetto dei suoi carnefici in toga, al punto finale dell’esecuzione, e quel cambiamento serviva a guadagnare un po’ di tempo. Ma Varna risultava ancora invisibile, uno spettro: come poteva, egli, muoversi tra le maggiori città della nazione, soggiornare negli alberghi e registrarsi, rimanendo di fatto invisibile? Fino a che Valdo non avesse risolto questo enigma, il ministro della Sicurezza nazionale, e di rimando il direttore del SIS, non lo avrebbero preso in considerazione, ritenendo piú promettente trovare rifugio sotto il confortevole ombrello delle fazioni terroristiche in lotta contro lo stato, a giustificare la mattanza di giudici e professionisti. (Il ministro della Sicurezza nazionale apparteneva alla corrente liberale del partito religioso moderato, e aveva avuto in passato rapporti burrascosi col partito progressista internazionale, rapporti che, negli ultimi tempi, erano però nettamente migliorati, da quando aveva fatto la sua comparsa sulla scena politica e parlamentare il blocco identitario.)
La risposta non tardò ad illuminare il faticoso arrovellarsi di Valdo. Era andato a trovare l’unico amico, o conoscente, col quale negli ultimi tempi Varna aveva avuto quello che poteva dirsi (forse) uno scambio di confidenze. Questo conoscente, suo vicino di casa, si chiamava Menfi, ingegner Menfi, e possedeva la villetta piú vicina a quella di Varna. L’ingegnere parve a Valdo stranamente loquace, quantunque le informazioni realmente interessanti che ne poté cavare furono davvero poche, eccettuata una. Era palese che reagiva a quel modo per atavico timore dell’autorità.
– È che Varna non si sbottonava poi cosí tanto – si giustificò l’ingegner Menfi. – Sembrava che volesse ricoprire la sua esistenza personale al di sotto d’una coltre capace di renderla invisibile. Ho sempre sospettato che la sua vita fosse piuttosto arida: mai una visita, niente amici, donne neanche a parlarne, figurarsi: quando il discorso cadeva lí, abilmente manovrava per distogliernelo. Inoltre, anche se non ne dava le mostre, era un uomo molto diffidente.
– Come faceste ad accorgervene?
– Ero curioso di sapere cosa gli passasse per la mente; pareva sempre cosí malinconico. La vedete quella staccionata? Ebbene, c’erano occasioni che vi si appoggiava, o vi si sedeva a cavalcioni, e stava per intere mezzore a fissare il tramonto. Quando, incuriosito, gli chiesi motivo di quello strano comportamento, mi rispose con parole incomprensibili: “È una metafora. Bisogna che qualcosa declini affinché un’altra possa nascere”. Poi, qualche giorno dopo, discorrendo si finí ad una specie di gioco: immaginare, cioè, vite alternative in altri paesi, dove nessuno ti conosce… Fu a quel punto che gli sfuggí di quella società che organizzava espatrî “lieti” (usò proprio questo aggettivo), in qualche paese esotico, ma sembra che la società in questione chiedesse rette d’iscrizione alquanto salate.
Da questo colloquio era emerso che Varna aveva contattato – o aveva pensato di contattare – una società specializzata nel rinvenimento di una sistemazione in qualche luogo straniero. Se cosí stavano le cose, la pressione emotiva che ogni giorno egli era costretto a sostenere andava facendosi sempre piú insopportabile: Varna era sull’orlo del cedimento psichico. Tra le altre cose piú o meno di contorno, l’ingegner Menfi rivelò all’ultimo l’unica informazione che contenesse un qualche elemento probatorio: quando stava per congedarsi da Varna, una sera ch’era stato a trovarlo a casa sua, dopo un paio d’ore di conversazione, l’occhio gli era caduto su di un rettangolino di carta giallastra che fuoriusciva di poco dai fogli di un’agenda, sulla scrivania. Varna era andato a cercare un libro di là, in camera sua. – Liberai il frammento di carta dalla presa dei fogli dell’agenda, e mi accorsi che si trattava proprio della reclame pubblicitaria di quella associazione del lieto espatrio; inoltre mi accorsi che era stato ritagliato dalla guida telefonica delle società commerciali. Rimisi tutto a posto. Poi, quando fui di nuovo a casa, per prima cosa presi la mia copia della guida, e non impiegai molto a trovarlo. Eccolo qui – disse poi, estraendo il rettangolo cartaceo dal portafogli, l’ingegner Menfi. L’ispettore deglutí.
Con quel prezioso reperto, fu per Valdo un gioco da ragazzi identificare la società; e anche se, come pensava, essa non era piú funzionante, chiedendo a qualche collega della squadra mobile non gli fu difficile venire a conoscenza che quella società era anche sospettata, tra le altre cose, di aver tirato le fila di un fiorente commercio di documenti falsificati. Attraverso l’esame delle uscite del conto corrente bancario di Varna, venne a sapere che un paio d’anni addietro da quel conto erano usciti cinquantamila fiorini – somma tutt’altro che da disprezzarsi – girati alla società dell’espatrio. Ma Varna non era fuggito via, quindi perché pagare? Ormai c’erano due certezze: quella società lo aveva provvisto di chissà quanti documenti falsi, e Varna s’era di fatto reso invisibile. Anzi, ve n’era una terza: egli aveva meditato per anni il suo piano omicida, e da questa ne discese una quarta: l’ingente somma versata doveva essere servita allo scopo o di garantirsi l’anonimato, oppure a riscattare e distruggere la documentazione su di lui immagazzinata negli archivi della società d’espatrio. E per ultima, eccone una quinta: dal registro della camera di commercio, risultò che la sede legale della società per l’espatrio lieto si trovava in qualche sperduta soffitta di Panama City.

Nessun commento:

Posta un commento