martedì 10 gennaio 2012

Il contesto. Una trascrizione (3)

L’indomani, Valdo avrebbe dovuto presentare una relazione confidenziale, il cui contenuto sarebbe stato stenografato, secretato e rinchiuso nell’impenetrabile archivio del SIS. Nel corso di questo incontro in quegli uffici, espose dunque i risultati della sua indagine al direttore del servizio, che gli stava di fronte; Valdo sapeva che il tutto sarebbe stato riferito al ministro, ed era del resto quel che sperava. Generalmente, le indagini a sfondo politico serbano spiacevoli sorprese agli investigatori, e spesso si incade, in tali occasioni, in tremendi viluppi di noia.
– Indubbiamente, il vostro lavoro presenta tutti i caratteri dell’indagine seria, rigorosa, – osservò con apparente noncuranza il direttore del SIS, mentre scorreva le cartelle dattiloscritte del rapporto dell'ispettore, – però lo trovo anche, come dire, poco produttivo, non so se mi capite… –. Valdo aguzzò le orecchie. – Io gradirei molto, invece, che voi – proseguí il direttore – andaste quanto prima a rendere una visitina in casa dello scrittore Zosimo, dove dovrebbe trovarsi a guisa di ospite Laras, il segretario generale della Chiesa del popolo mondiale, l’organizzazione di padre Abraham Caviglia (segretario e, a sentir certe voci, suo dominus).
– Perché, cosa vi aspettate che n’esca fuori? – domandò Valdo.
– Non si sa mai, smuoveremo le acque. Quei tipi non mi piacciono. Negli ultimi tempi, i cristiano-sociali hanno stretto alleanze ancora piú salde con i collettivi metropolitani organizzati; noi li teniamo d’occhio –. (I cristiano-sociali erano, tra tutte le correnti del partito religioso moderato, quella niente affatto moderata, e rappresentavano in parlamento le idee e gli interessi, e questi ultimi specialmente, della Chiesa del popolo mondiale.) – Come saprete, chi preoccupa di piú il ministro è il blocco identitario, ma quelli per il momento sembrano essere “in sonno”, per dir cosí. – Valdo colse l’umorismo involontario implicito in quell’ultimo richiamo al gergo massonico. Che il direttore fosse un libero muratore? – Resta inteso – continuò costui – che quand’anche il ministro, dopo avervi dissuaso dal proseguimento delle indagini a carico del vostro fantomatico Varna, vi sconsigliasse di indagare in direzione dei collettivi metropolitani per orientarvi verso il blocco identitario, voi continuerete a seguire le nostre direttive –. Intendeva le direttive del SIS.
– E come mai voi, diversamente dal ministro, vi interessate con piú premura ai collettivi metropolitani organizzati che al blocco identitario?
– Be’, il ministro è un politico, no? Non è molto incline a disturbare di questi tempi il partito progressista internazionale, che copre i collettivi. Peraltro, ho inteso che questo partito sarebbe l’unico soggetto politico capace di rinsaldare il governo tenendo a bada la marea montante di questi straccioni scatenati, ma questo è solo calcolo politico.
– Ho l’impressione che nemmeno a voi faccia difetto il talento per questo tipo di calcoli – rilevò Valdo.
Il direttore del SIS sembrò compiacersi di quella definizione, o almeno cosí parve al suo interlocutore.

Il ministro della Sicurezza nazionale stava conferendo con il capo del servizio segreto civile in quello che si usava chiamare il lunch del giovedí sera. Si ritrovavano in una saletta privata di un non grandissimo ristorante dietro la piazza del parlamento, e a poche decine di metri di distanza dal palazzo del governo. Le faccende di cui discorrevano, stante il loro carattere estremamente riservato, imponevano che si valutasse con attenzione il ruolo e l’indole dei commensali che si volevano invitare; in ciò, il ministro seguiva indefettibilmente il suo personale criterio di opportunità. Ma, dopo anni di esperienza e conoscenza della macchina dello stato, e soprattutto dei modi, talvolta bizzarramente articolati, con i quali le sue funzioni erano state suddivise, in quest’arte egli aveva raggiunto una perizia che si poteva onestamente definire insuperabile, e fino ad allora insuperata. Da qualche tempo, in quella club house del giovedí sera, il ministro aveva cominciato ad accogliere gli alti quadri del partito progressista internazionale; una volta li aveva addirittura invitati insieme con i vertici degli stati maggiori riuniti, che era un po’ come mettere alla stessa tavola il diavolo e l’acqua santa: eppure, non si erano prodotti sconquassi, o peggio fenomeni esorcistici, e la serata s’era conclusa in una atmosfera di simpatico cameratismo, se non quasi di goliardia, sorbendo il caffè alla nocciola e lo sherry secco della casa. In un’altra occasione, ospite d’onore, oltre al segretario del partito progressista internazionale, Rubio, era stato il celebre Magyar Schildroth, e per tutto il tempo si era ragionato di finanza internazionale e sistema dei regolamenti interstatali. Rubio aveva preso la palla al balzo, confessando a Schildroth che al suo partito, dal bilancio non piú solido come ai bei tempi, occorreva proprio un sapere scientifico (nel gergo di Schildroth si diceva know-how) pari al suo (di Schildroth) onde ristrutturare l’esposizione totale con le banche, eredità della precedente, dissennata gestione finanziaria (oltreché politica, lasciò intendere) del partito.
Un finanziere della levatura e del fiuto di Schildroth, con naturali propensioni verso la politica, non poteva certo farsi sfuggire una simile occasione di mettere il cappello sul “sistema circolatorio” di un partito che ancora non era di governo, ma era come se già lo fosse. Il ministro della Sicurezza nazionale, ovviamente, era a conoscenza di quella delicata situazione finanziaria, e già prevedeva quale sarebbe stata la scappatoia per aumentare le entrate del maggior partito di “opposizione”: fondare in primo luogo una serie di associazioni non governative alle quali concedere appalti pubblici particolarmente remunerativi, cosí da risolvere la grana piú spinosa (ossia la cronica scarsezza di liquidità) che attanagliava il partito già da un paio d’anni; in secondo luogo, contrattare con le banche il tasso d’interesse passivo, scambiandone l’abbassamento con il sostegno alla riformulazione della legge bancaria che, di lí ad un anno, sarebbe transitata dal palazzo del governo al parlamento.
– E dunque, – esordí confidenziale il ministro nel corso di quella serata, – secondo voi come dobbiamo muoverci con Valdo? Insiste con la sua caccia all’assassino solitario?
– Purtroppo sí, eccellenza. Ho provato a prenderlo in contraddizione in uno dei nostri ultimi incontri, che come sapete sono periodici, ma ha una risposta per tutto.
– Alludete a quella strana storia dell’associazione per l’espatrio “lieto”?
Il direttore del servizio segreto annuí.
– Il governo è dell’idea, invece, che questa situazione spiacevole sia stata favorita dalla strategia populistica e xenofoba del blocco identitario. Sono loro che stanno destabilizzando il quadro istituzionale. Certo, e voglio anticiparvi, non sono tanto matto da lasciar circolare l’idea che di questa mattanza se ne debba far carico direttamente al signor De Vlam e soci. – (De Vlam era il segretario politico del blocco identitario).
– E quindi?
– E quindi, voglio dire che noi gli omicidi potremmo pure vederli scaricati su quelle dannate formazioni di peones dei collettivi metropolitani organizzati (quantunque non sia una cosa tanto facile come poteva esserlo vent’anni fa), poi ci penseranno quelli del partito progressista internazionale a mettergli la mordacchia, assieme ai confratelli dei cristiano-sociali; ma noi dobbiamo vedercela con quelli del blocco identitario. Loro sono gli unici che possono scombinare i nostri piani.
Il ministro, tracannando l’ultimo bicchierino, si fermò una manciata di secondi a pensare. – Convocate l’ispettore Valdo nel mio ufficio per domani alle dieci – disse col tono di chi vuol tagliare corto e non ammette che ci si perda in repliche.

Il direttore del servizio segreto aveva avvertito per tempo Valdo, sicché entrambi s’incontrarono al ministero, laddove convenuto col ministro, alle dieci in punto. Il direttore avrebbe preferito non dare mostra del nervosismo che s’era impadronito di lui, ma non vi riuscí che a fatica. Egli temeva che l’ispettore potesse ottenere di convincere il ministro circa la bontà della sua teoria dell’assassino solitario, cosa che avrebbe significato un ridimensionamento dell’ufficio del servizio informativo riguardo a quel caso. Non che il direttore paventasse rammollimenti improvvisi del ministro: piú semplicemente, non si fidava appieno di lui. Fin dall’insediamento di quello ch’era a detta di tutti uno dei piú scaltri uomini politici di quella generazione, il direttore aveva nutrito pesanti sospetti ch’egli volesse accentrare negli uffici del ministero della Sicurezza nazionale tutta la catena di comando delle istituzioni piú delicate dello stato, tenendo in tal modo al guinzaglio il SIS. Una cosa simile non si verificava da quando, diversi anni addietro, s’era tentato di mettere mano alla riforma dei servizi d’informazione; ma la struttura che “vigilava” sulla politica – grazie, in particolar modo, alla capace regia dei suoi vecchi comandanti, ricattatori provetti – era riuscita a sventare quel disegno pericolosissimo, mettendo a disposizione dei ministri che alla Sicurezza nazionale si succedevano consistenti fondi extra bilancio, suggellando in tal guisa non tanto una pace, quanto una conveniente tregua: base fondamentale, piú che di un reciproco rispetto, o timore, di una sensata e razionale spartizione del controllo della catena di comando della parte piú inconfessabile della vita istituzionale. Ora, suo compito era badare alla grana che Valdo rappresentava. Ma, nel frattempo, il direttore del SIS avrebbe continuato a raccogliere segretamente informazioni sul conto del ministro.
Il qual ministro li accolse all’ora convenuta con ilare espressione, felice di vederli, di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno che non fosse uno di quei grigi burocrati da cui si vedeva attorniato al ministero. Appena entrati, furono condotti davanti al minibar, l’unico mobile del suo ufficio da cui non si sarebbe mai separato.
– Allora, ispettore Valdo, come sta il vostro assassino… aspettate, com’è che si chiama? Ah sí, Varna se non sbaglio, vero? –. E nel frattempo celiando, riempiva tre calici ghiacciati dalla campana molto larga con un aperitivo color rosso rubino da lui stesso miscelato.
Valdo tacque; accettò il bicchiere che il ministro gli offriva.
– Ma vedete, ispettore, io desidero che voi non vi facciate l’idea che, sfruttando la mia autorità, io voglia gettare disdoro sulla vostra indagine; però noi, attualmente (e quando dico “noi”, potete immaginarvelo, sto alludendo allo stato), abbiamo da rispondere ad una imperativa istanza: il nostro paese deve schivare un pericolo mortale, che vi esporrò con una formula secca ma, direi, efficace: la vita delle istituzioni è minacciata seriamente dall’attacco combinato degli xenofobi del blocco identitario, da un lato, e dei quadri dirigenti dei collettivi metropolitani organizzati dall’altro, e questo proprio nel momento storico in cui le centrali internazionali che si occupano di valutare il rischio degli investimenti in titoli dei debiti pubblici sovrani ci stanno incalzando. In una siffatta congiuntura, non credete che sarebbe cosa buona e giusta mettere quel poveraccio fallito del vostro Varna in sala d’attesa?
Valdo gli gettò uno sguardo incredulo nel mentre che degustava il cocktail; il ministro non diede mostra di aver compreso la natura di quell’occhiata, dietro la quale si nascondeva, nel mezzo di una frotta di domande sconvenienti, l’originaria vocazione alla verità di un poliziotto ch’era rimasto sempre un poliziotto, nonostante le promozioni. Il ministro li prese tutt’e due sotto il braccio, conviviale.
– Vogliate scusare, eccellenza: ma non credete che gl’investitori dei mercati finanziari internazionali resterebbero meno scossi, sapendo che la mattanza di giudici e quant’altro è dovuta all’attacco di follia di un disperato, e non ad un magma rivoluzionario pronto a far esplodere la nazione da un momento all’altro?
Il ministro accusò il colpo; ma in un batter d’occhio si riscosse.
– Avete ragione, ispettore, l’acume non vi manca… ma vedete, – riattaccò con un filo di voce; Valdo intuí che la partita andava schiarendosi – in questo momento non abbiamo interesse a disturbare le intemperanze dei collettivi metropolitani: il direttore del SIS è già al corrente di ciò, quindi dovrete raccordare le vostre indagini. In un certo senso, se volessimo usare il gergo degli strateghi militari dell’ottocento, ci proteggono il fianco sinistro, lo anestetizzano con quella specie di guerriglia nella cui arte eccellono facendo un baccano infernale. Voi non ci crederete, ma abbiamo trovato il modo per far sí ch’essi siano i controllori di sé stessi, e che tutto quel disordine che la borghesia produttiva trova tanto fastidioso, e teme, garantisce al contrario un ordine ferreo: il frastuono rimane cosí una frangia poco movimentata della superficie, e dove siamo noi (le istituzioni, voglio dire) ne giunge appena una impercettibile eco. Guardate invece quel fanfarone di De Vlam: ha un bel parlare, lui, di democrazia diretta, e magari crede veramente che esista un popolo in grado di governarsi senza istituzioni specializzate. Lui non va cianciando di case sfitte da requisire ai borghesi che ne hanno due, ma vagheggia la modifica della composizione “etnica” della Corte suprema e della camera alta, volete mettere la differenza? Inoltre, i collettivi metropolitani organizzati non sono soltanto i controllori di sé stessi, ma funzionano come un vero corpo di polizia: pattugliano il territorio, ne conoscono l’angolo piú nascosto e sfuggente e lo sorvegliano; col tempo, potrebbero instaurare un ordine che non è il nostro, che non è “istituzionale”, per esprimerci in guisa conveniente, è vero; però ci faranno risparmiare sui costi, e quando in un prossimo futuro riveleremo questo particolare all’opinione pubblica, essa sarà perfino felice di rispondere ad un’autorità di polizia cosí variegata e multicolore! Certo, già chiedono qualcosa in cambio: loro le chiamano “zone temporaneamente occupate”; ma non mi sembra una congrua esosa, e finché il loro linguaggio scambierà il temporaneo col permanente, essi non saranno nulla di diverso da noi, anche la loro lingua sarà la lingua della doppiezza, e sarà come se parlassero il francese alla corte degli zar. Inoltre, particolare vi giuro niente affatto trascurabile, saprete certamente come la magistratura guardi di buon occhio questi collettivi, e nemmeno ignorate quanto il mio partito debba alla magistratura: nel tempo in cui l’operazione Porta di Babilonia era appena alle battute iniziali, ce la siamo vista brutta; soltanto in seguito potemmo capire che si trattava di una manovra diversiva diretta contro l’ascesa irresistibile del blocco identitario nei cantoni occidentali, e che minacciava di sfondare anche nel resto della nazione (figuratevi se avessero preso il comune della nostra capitale!); ora con l’organo di governo autonomo della magistratura è tutto chiarito, e abbiamo capito quello che si aspettano da noi. Ora, al posto dei vecchi dirigenti c’è un’altra schiatta di illuminati…
Appena fuori dall’edificio in travertino del ministero, avendo l’imponente colonnato d’ingresso alle spalle, e nel mentre che Valdo trovava ancora difficoltà a considerare reale quel colloquio col ministro, il direttore del SIS “corresse” il compito affidato all’ispettore: – È bene che i “controllori” dei collettivi metropolitani organizzati (il ministro ha detto lo stesso, ma intendendo il genitivo come soggettivo; noi lo trasformeremo seduta stante in oggettivo), dei quali non possiamo fidarci, controllino le loro pattuglie, e per ottenere questo voi nel pomeriggio andrete a conferire con Laras.

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