domenica 15 gennaio 2012

Il contesto. Una trascrizione (5)

– State raccogliendo prove contro la Chiesa del popolo mondiale?
– Diciamo che sto pazientemente componendo un dossier su questa strana congrega di filantropi. Quest’opera è per me cosí tanto importante, che pur di concluderla ho scientemente procurato le condizioni per favorire una mutazione genetica del mio stile. Sono l’unico caso di scrittore mutante che si conosca – concluse con una dose di amaro sarcasmo. – In una circostanza come questa, ispettore, – riprese dopo una breve pausa, – è d’importanza vitale saper temporeggiare. Attaccare padre Caviglia oggi sarebbe come suicidarsi, anche se non potete immaginare che voglia ne avrei! –. Ebbe un tremito. Stette immerso per qualche secondo in un profondo raccoglimento; poi disse: – Rammentate quel celebre pensiero filosofico che recita: “Cosí come la natura separa saggiamente i popoli, che la volontà di ogni stato, per giunta richiamandosi anche ai princípi del diritto internazionale, desidererebbe unificare sotto di sé con l’astuzia o con la violenza, allo stesso modo essa, d’altro canto, unisce anche i popoli, che il concetto del diritto cosmopolitico non avrebbe garantito contro la violenza e la guerra, tramite il reciproco tornaconto. È lo spirito del commercio, che non può convivere con la guerra, e che prima o poi si impadronisce di ogni popolo”?
Valdo lo rammentava: Kant, Per la pace perpetua, terzo articolo, primo supplemento, terzo punto. Era uno dei punti essenziali della teorizzazione kantiana: la pace perpetua favorita, caldeggiata anzi, dal commercio globale.
– Conoscete la ratio di questo testo, allora: seppellire i nazionalismi europei con circa un secolo d’anticipo sulle guerre che da essi scaturiranno. Se l’Europa del tempo avesse dato séguito al progetto kantiano, saremmo arrivati già da tempo ad avere un mercato transnazionale unificato; e conseguentemente, istituzioni politiche comuni. Dopo di che, il governo mondiale sarebbe faccenda di pochi decenni.
– Non scorgete in questo progetto una di quelle forzature della storia che producono piú problemi di quanti ne risolvono? – obiettò Valdo.
– Voi siete troppo hegeliano, credete ancora che esista una razionalità insita nella storia, un suo “dover essere”. Lo fui a mia volta, e i versi che avete letto ne rendono testimonianza. Ma osservate il teatro planetario cosí come si offre ai nostri occhi e ditemi: che cos’altro vedete, se non un apparentemente incomprensibile bailamme? C’è un solo modo di capirci qualcosa in questo rebus: seguire la logica del capitale. Se lo faceste, sareste già arrivato laddove gli strateghi della Chiesa del popolo mondiale arrivarono una quindicina d’anni fa: mercato transnazionale significa che tutte le produzioni umane, manuali ed intellettuali, sono valore di scambio, di conseguenza tutte possono sciogliersi nella forma di denaro. Grazie a questa analisi marxiana (peraltro elementare, direte voi, ché è sufficiente leggersi il primo libro del Capitale per giungervi), padre Caviglia intuí che non solo la guerra poteva piazzarsi sul mercato come valore di scambio, ma anche la pace. Scoprí anzi di piú: e cioè che quando si è ben decisi ad impiegare il tempo nell’accumulazione di danaro, non se ne trova a sufficienza per fare la guerra, e viceversa. Il tempo è come il capitale, è un bene di limitata disponibilità. Ma padre Caviglia, e soprattutto Laras, hanno capito il trucco, e non si può dire che non abbiano saputo metterlo a frutto. Il commercio! Ad un certo punto hanno scoperto che il mercato mondiale del capitale disponeva di una miriade di misteriose reti autostradali; percorrendole, il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci si dimostrava una realtà di questo mondo, non un’evangelica chimera, come nel profondo delle loro coscienze di atei sempre credettero. E dunque, puntarono tutto sulla “pace”, impegnandoci una massa di capitale a molti zeri; provate ora ad immaginare la loro meraviglia quando, impiegando quei fondi, se li vedevano restituiti moltiplicati dalle piazze finanziarie contro le quali sbraitavano nel corso delle loro allocuzioni straccione.
– Ma dove hanno reperito questi ingenti capitali da investire? – chiese Valdo.
Zosimo abbozzò un risolino, come a compatire quello scoppio di ingenuità. – In prestito, naturalmente. Non dimenticate, inoltre, che la Chiesa del popolo mondiale, nella sua qualità di organizzazione non governativa, consente a chi le intesta donazioni di ottenere notevoli vantaggi fiscali.
Nella mente di Valdo si accese la luce del giorno. Disse: – Quindi, se un finanziere devolvesse una certa somma di denaro a padre Caviglia potrebbe vedersela restituire su base allargata se egli fosse in combutta col destinatario della donazione stessa.
– Finalmente ci siete arrivato, ispettore. Ma perché parlare di combutta? Si tratta di affari, di quel commercio globale che, secondo Kant, è alla base della pace perpetua. Ecco perché Laras ama definirsi un sacerdote della pace, e divulga ad ogni piè sospinto l’utopia di Königsberg: ha capito che con la pace si fanno piú affari che con la guerra. Dovete ammettere che è un bel salto di qualità rispetto alla teoria classica della rivoluzione, quella che afferma essere la guerra il momento sublimante dello svolgimento della dialettica del capitale, giacché consente la massima accumulazione di plusvalore possibile. Queste erano le idee di Lenin, scarso lettore di Hegel: andavano bene per il suo periodo storico, ma oggi sono state irrefragabilmente sorpassate dagli imprenditori che investono e liquidano sul mercato mondiale della pace!... – si arrestò di colpo. – Ma stavo dimenticando la ragione che vi ha condotto fin qui, ispettore –. Ciò detto premette il bottone di un campanello elettrico, fissato alla scrivania in modo da non essere visibile a chi gli stava dirimpetto. Si sentirono rumori vari e tramestii provenire dal corridoio, quindi qualcuno bussò: era la governante pseudosvizzera. Zosimo la invitò a condurre nello studio l’ospite. Passò un breve frangente e si sentí di nuovo bussare alla porta. Zosimo invitò all’entrata, e sulla soglia comparvero le figure della governante, seguita a ruota da un uomo di alta statura, viso ascetico e tratti scavati, affilati. La governante si eclissò chiudendosi la porta alle spalle, e per un attimo Laras rimase al centro della scena, sotto la luce di un lampadario cromato.
Ostentava calma e sicurezza di sé, una specie di distacco da quanto lo contornava; qualcuno, mal conoscendolo, avrebbe potuto scambiarlo per alterigia, vecchia reminiscenza d’un patriziato sfiorito: in verità, si trattava di accorgimenti studiati. Non si poteva negare che Laras fosse capace di fascinare quanti gli stessero davanti: Zosimo, ad esempio, doveva lottare assai contro quel carisma naturale, pur rimanendo deboli le sue capacità di opporvisi. Egli sembrava aver smarrito tutta la iattanza poc’anzi esibita. Per parte sua Laras – forse intendendo qualcosa dei rancorosi moti nascosti nella psiche del suo ospite – era andato di proposito a sedersi proprio sotto il suo naso, manovra che sorprese e intimidí lo “scrittore mutante”.
– Potete cominciare il vostro interrogatorio, ispettore; ma lasciatemi prima esprimere il desiderio che si tratti di una conversazione informale: mi infastidirebbe dover ricorrere al telefono privato di questa abitazione per convocare qui il mio avvocato.
Questo secco preambolo colse Valdo di sorpresa, quantunque non gli giungesse nuova la tecnica di incutere un reverente timore al pubblico ufficiale spingendolo sulla difensiva con la scusa dell’ossequio del diritto alla difesa. Valdo pensò che quella rivendicazione quanto meno corriva, che egli sapeva essere prerogativa costante dei collettivi metropolitani organizzati, poteva essere considerata come indizio di un collegamento tra questi ultimi e la Chiesa del popolo mondiale: era probabile che disponessero di un ufficio legale comune.
– Non sono qui in veste ufficiale, signor Laras. Sto conducendo delle indagini, non potrei negarlo, ma ho chiesto di incontrarvi al solo scopo di rivolgervi qualche domanda confidenziale e riservata.
– Sa il cielo a che gioco state giocando; ma vi garantisco che non sono io che me ne vado in giro ad ammazzare giudici avvocati e sindacalisti.
– Non ne dubito – disse Valdo.
– Sentito? – scattò, rivolto a Zosimo – non ne dubita! Non siete granché convincente, ispettore. Sapete cosa credo, invece? Che stiate indagando per conto del ministero della Sicurezza nazionale, quando dovreste invece ritenervi alle dipendenze dell’ufficio del procuratore. Siete contro la legge.
Canis a non canendo! – tuonò ironicamente Zosimo. Poi, dopo aver taciuto per un istante, sentendosi gli occhi degli altri interlocutori addosso, in ispecie quelli niente affatto amichevoli di Laras, cosí dette seguito alla sua citazione varroniana: – Eccola la verità che non puoi dire: ti senti protetto dalla magistratura e per questo ti sembra strano che qualcuno indaghi su di te! Se lo fa, deve esserci lo zampino di qualcun altro.
Laras accusò il colpo: mai si sarebbe aspettato un simile attacco da Zosimo – quantunque fosse chiaro che non se ne fidava – e Valdo lo osservò mentre, con uno sguardo di fuoco, dava le mostre di voler incenerire lo scrittore. Questi, però, non se ne diede per inteso, sforzandosi di seguitare nell’esame di una pila di cartelle dattiloscritte come se niente di strano fosse accaduto.
– Perbacco, da quando te la intendi con gli sbirri? –. Poi, rivolgendosi all’ispettore: – Forse voi ignorate che il nostro anfitrione, a quanto pare sulla via di rifarsi una verginità, ha avuto i suoi bei trascorsi “rivoluzionari”… Ora capisco perché da qualche tempo ha preso a comportarsi come un congiurato; ma senza disporre dell’adeguata furbizia.
– Ma va’, tu e le tue fisime: saresti stato un eccellente soggetto di studio per il dottor Breuer! E pensare che Caviglia è stato tanto sciocco da mettere l’organizzazione nelle mani di uno che si legge la biografia di Berja per imitare la sua maestria nel fregare Stalin!
– Questa poi, io un Berja pronto a fregare Stalin? Proprio tu lo dici, mediocre borghese in procinto di piazzarsi come ideologo dei quaccheri del partito legge e ordine!
Poi, rivolgendo a Valdo un sorriso sardonico: – Stalin, per lui, sarebbe padre Caviglia.
Valdo annuí.
– In simili circostanze se la può cavare a buon mercato solo uno con la tua faccia tosta. Io sarei un borghese, un mediocre?
– Hai ragione, – proseguí l’altro, che stava cercando di recuperare l’abituale calma, – hai ragione: uno scrittorello di poco conto come te non merita che di essere definito come scarto di produzione dell’intellettualità antilluminista. Hai cominciato a scrivere anche tu una Imitatio Christi?
– Ah, questa è da ridere, dici a me intellettuale antilluminista! Ma basta leggerlo, il catalogo della tua casa editrice, per restare accecati dagli abbacinanti lumi che vi risplendono… i lumi del peyote!
– E difatti, finché ci terremo i tuoi libri e le elucubrazioni da intollerante che li popolano, saremo a rischio di vederci rivolta l’accusa di oscurantismo!
– Perché “intollerante”? – chiese Valdo, curioso. Gli premeva tra l’altro porre freno all’indecoroso scambio di contumelie.
– Già, perché? – rincarò la dose Zosimo. – A quanto ne so hai guastato la carriera di una mezza dozzina di giornalisti che avevano tentato di farti le pulci, tagli le teste dei dirigenti delle società dell’organizzazione come e quando ti pare, disponi di questo e di quello come un Saladino, eserciti un potere monocratico su di una plètora di quistioni su cui non vanti alcuna competenza tecnica come io non ho mai fatto, però io sono intollerante e tu no.
– Io esercito un “potere monocratico”, come dici tu, perché cosí esso incombe su di me. Sono chiamato a farlo, per la grande idea della pace mondiale. Tu, invece, sei intollerante qui – e si toccò il centro della fronte. – È la tua essenza.
Valdo, che si dilettava di filosofia, non ignorava quanto pericolose fossero le discussioni sull’essenza, perciò non si fece sfuggire l’occasione di chiudere quel capitolo (sorvolando sull’evidente contraddizione di un kantiano che ragiona di “essenze”), onde poter rivolgere a Laras le domande preventivate. Da parte sua, questi non si sentiva piú tanto sicuro di sé stesso; rispose in guisa alquanto particolareggiata, aggiungendo dettagli piuttosto che ometterli. Sulla via del ritorno, l’ispettore riordinava le idee: quando aveva affrontato il delicato nodo dei rapporti correnti tra la Chiesa del popolo mondiale e gli organi dirigenti del movimento dei collettivi metropolitani organizzati notò un irrigidimento di Laras: fu un attimo, è vero, ma bastevole ad insospettire Valdo, convincendolo che l’argomento poteva nascondere, per l’organizzazione di padre Caviglia, qualche remota insidia, se non addirittura un pericolo. In simili casi, un poliziotto che si rispetti sa che per provare l’esistenza di un collegamento tra due soggetti è buona norma investigare sui possibili (e anzi, probabili) canali di finanziamento in danaro. Ma questa era una incombenza del SIS. Riguardo alle eventuali “devianze” di taluni segmenti dei collettivi metropolitani, Laras non profferí parola; si disse scettico a quel proposito, e l’ispettore – il cui pensiero veniva a intermittenza catturato dal fantasma di Varna – si estraniò al punto di non udire piú il vaniloquio dell’emissario di padre Caviglia riguardo alla “generosità sociale” di quei ceffi drogati che frequentavano i collettivi. Dopo di che Valdo gli fece capire che se lui era in grado di esercitare una pressione su quelli, a che calmassero certi loro comportamenti “sopra le righe”, lo facesse: sarebbe stato meglio per tutti.
Due questioni erano in cima ai pensieri dell’ispettore: conoscere le reazioni di Laras immediatamente successive al loro colloquio “informale”, e soprattutto appurare il motivo (se mai fosse stato possibile) che aveva spinto Zosimo ad attaccare frontalmente il suo ospite, contravvenendo a quanto si era riproposto poc’anzi, in privato: che il suo sistema nervoso avesse ceduto di schianto? A ben vedere, ce n’era una terza: alludeva a qualcuno in particolare, Zosimo, quando faceva riferimento a misteriosi finanziatori della Chiesa del popolo mondiale? Che il celebre finanziere Schildroth fosse ospite del governo, proprio in quei giorni, non poteva costituire una traccia buona per indagare su alcuni strani movimenti che si potevano registrare nei palazzi del potere? Valdo ne avrebbe ragionato col direttore del SIS. Avevano pattuito di vedersi in una tranquilla e periferica trattoria, dove l’ispettore, che non era sposato, era solito cenare. Parlarono di lavoro desinando, e Valdo lo trovò gradevole: lui consumava i pasti sempre da solo. Chiese subito un corollario dell’intercettazione telefonica immediatamente successiva alla sua visita in casa di Zosimo, e il direttore del SIS gli ammanní il lungo elenco di lamentele profuse da Laras nel corso delle sue conversazioni.
– Appena vi siete allontanato – cominciò il direttore, – per prima cosa Laras si è gettato sul telefono chiamando il suo diretto superiore, padre Caviglia; questi non era presente in sede, sicché il nostro si è dovuto contentare della segretaria, cui ha affidato il compito di contattare con la massima urgenza il capo dell’ufficio legale. Questa richiesta sarebbe potuta sembrare sospetta, ma il seguito non ci ha recato ulteriore conforto, perché subito dopo ha contattato il direttore del periodico “Fratellanza popolare”, che ha svariate entrature presso i vertici della curia, quindi ha parlato per qualche minuto con Bolano, il conduttore del programma televisivo “Parole e immagini della democrazia”, lamentandosi molto: a entrambi ha riferito l’accaduto, cioè che la polizia, fuori dall’esercizio dell’azione penale, spettante per legge alla magistratura, stava indagando su fatti delittuosi attribuibili ad ignoti, ma da essa collegati senza prove all’attività dei collettivi metropolitani organizzati. Poi è stata la volta dell’amministratore delegato dell’Unione bancaria nazionale e del consigliere della Corte suprema Porzio (molto scandalizzato dall’avvenuto), della famosa creatrice di moda Karla, madrina della Croce rossa, infine della celebre e bella attrice Giovanna Midí, attiva sostenitrice del partito progressista transnazionale. Tutti hanno commentato il resoconto di Laras con ilare sarcasmo, tranne osservare, infine, quanto inefficienti siano e le forze dell’ordine, e gli uffici d’informazione, e quanto di scarsa lealtà verso le istituzioni democratiche.
– Insomma, sembra che abbiamo combinato un bel pasticcio.
– Diciamo che abbiamo gettato il sasso nello stagno e molte anatre hanno starnazzato.
– Già, ma prevedo che starnazzerà anche il ministro.
– È quello che temo.
Valdo osservò un silenzio durato qualche breve istante, poi domandò al suo interlocutore: – Che rapporti intrattiene padre Caviglia con questo establishment?
– Rappresentanze; e anche affari, immagino: per padre Caviglia le due cose spesso si confondono. La Chiesa del popolo mondiale è al centro di una ragnatela di iniziative (in gran parte all’estero, nei paesi del terzo e quarto mondo) di assistenza e soccorso, ed è anche accreditata a rappresentare varie altre associazioni presso l’Organizzazione unitaria mondiale. Ma sotto questa superficie indorata, ben pochi si sono arrischiati a indagare: sapete che non porta bene… –, come sostenuto da Zosimo, rammentò Valdo.
L’indomani, verso le dieci, il direttore del SIS telefonò a casa dell’ispettore: – Sono stato destituito dalla direzione ed assegnato ad altro incarico. Da noi è l’equivalente di una degradazione –. Valdo percepí una nota di malinconia incrinargli la voce.
– Hanno fatto in fretta a comunicarvelo.
– Sí. Ieri sera sono rientrato e ho trovato sulla segreteria telefonica la convocazione per oggi alle nove. Me l’aspettavo, ma non cosí presto…
– Che avete intenzione di fare, ora?
– Dovrò studiare un piano: sono abituato a portare a termine gli incarichi affidatimi.
– Se andate oltre rischiate grosso, potrebbero licenziarvi.
– Che ci provassero…
La venatura ricattatoria che, netta, traspariva da quella dichiarazione formulata di getto inquietò Valdo. Nel proseguire del colloquio telefonico, Drogo (così si chiamava l’ormai ex direttore del SIS) e l’ispettore combinarono un incontro di lavoro in un appartato ristorante.

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